Pillola di Meazza

Nel XIV secolo nel Kashmir una poetessa e mistica radicale impartiva ai bramini una lezione di libertà: avete mai sentito parlare di Madre Lalla?
A Madre Lalla mi ha portato la poesia. Più nello specifico, una sua lirica dedicata all’andare camminando che definisce il pellegrino. Mi è sembrata, la prima volta che l’ho letta, una delle più belle definizioni immaginabili per quel tipo di viaggio:

“Da un santuario all’altro, l’eremita
non si ferma a riprendere fiato.
Anima mia, guardati allo specchio:
andare in pellegrinaggio è innamorarsi
sempre del verde dell’erba all’orizzonte”

Parole semplici, semplicissime, eppure permeate di un senso di libertà e di ricerca vertiginoso e al tempo stesso di una gioia impressionante. Figurarsi la mia sorpresa quando ho scoperto che queste parole non sono state scritte né ieri né l’altro ieri, ma nel XIV secolo. Il sortilegio ormai era stato lanciato: dovevo assolutamente scoprire chi fosse questa Madre Lalla, indicata come l’autrice della poesia.

Madre Lalla: il viaggio di liberazione di una sposa bambina
Lalla Arifa, la futura Madre Lalla (o Lalla Ded o Lalleshwari), nacque nel 1320 d.C. circa a Srinagar, nel Kashmir. Era di nobili natali: proveniva, infatti, da una famiglia di colti e ricchi bramini. Questo, però, non fece sì che il destino le sorridesse, quantomeno nella prima fase della sua vita. A 12 anni le toccò andare in sposa a un notabile locale. Come se ciò non fosse già abbastanza terribile, ebbe in sorte anche una suocera che le faceva subire innumerevoli angherie. E così, per 12 anni, Madre Lalla fu sposa bambina e nuora remissiva in una casa in cui la si trattava come una schiava.

A un certo punto, però, qualcosa cominciò a cambiare. Fu, sembra, colpa di un mendicante che, da lei accolto benevolmente e nutrito quando chiedeva un po’ di cibo, iniziò a istruirla nella mistica induista. Costui divenne il suo guru, la guida sotto la quale Madre Lalla iniziò il proprio percorso di liberazione. Il primo passo del cammino fu il più difficile, il più terrificante e il più giusto. A 24 anni, infatti, la donna salutò il marito e la suocera e, abbandonandone la casa, si votò alla vita spirituale.

Un’eremita, una poetessa, una mistica scandalosa
Da quel momento in avanti, ogni scelta e ogni azione nella vita di Madre Lalla furono in direzione di una libertà radicale, assoluta. Non anarchica però, questo no: Madre Lalla andava in cerca della verità e del divino in ogni luogo. E riusciva, in questo, a dare enormemente fastidio alla classe cui appartenevano la sua famiglia e suo marito.

La sua, infatti, era (probabilmente per un’influenza del sufismo) una forma di religiosità monoteista in un contesto tradizionalmente politeista. Non solo: era anche, come se non bastasse, un monoteismo etico. Madre Lalla, cioè, trovava aberranti le distinzioni sulla base della classe sociale e del censo. Dal suo punto di vista l’umanità nell’altro era l’unico valore che contasse e perciò predicava senza sosta la solidarietà. Per questo e per il suo modo di agire, oltre che per la sua saggezza, ben presto divenne nota con l’appellativo di “Madre”. Inoltre, in aperta polemica con l’erudizione dei bramini, per lei assolutamente sterile, Madre Lalla invitava a una ricerca della conoscenza incarnata. Non nei libri si sarebbe trovata la verità sulla trama del reale, affermava, ma mescolandosi a esso e lasciandosene attraversare.

Proprio questo motivo trovò che il modo migliore per esprimere il proprio sapere mistico fosse la poesia. Quel che aveva da dire, preferiva dirlo nei villaggi alle persone faccia a faccia, sedendosi a chiacchierare sulla soglia di una casa o di un’altra. O magari aiutando a sbrigare qualche faccenda, per guadagnarsi quel po’ di cibo con cui caritatevolmente la sostenevano. Ma volendo scriverlo, ritenendolo suo compito per raggiungere più persone possibile, le parve appropriato esprimersi nel linguaggio semplice del popolo. Un linguaggio che, a differenza dei trattati dotti dei bramini, che erano scritti oscuramente per escludere i non eruditi, unisse e accogliesse tutti quanti.

Lalleshwari in un’immagine
Di Madre Lalla, lo confesso, so meno di quanto vorrei. Di certo approfondirò – e rimando a questo libro e questo studio chiunque altro volesse farlo. Tuttavia, c’è un’immagine di lei che da questa prima esplorazione porto con me. E penso proprio che, come dalla sua poesia citata in apertura, non me ne separerò tanto presto.

Madre Lalla danza in estasi, completamente nuda, nel silenzio della foresta come nel brusio dei villaggi. Nel suo essersi spogliata, si dona a ciò che è Altro da sé, a quel divino di cui costantemente va in cerca. Non c’è vergogna in lei: la vergogna, semmai, è negli occhi di chi guarda cercando di pervertire il senso di quel gesto. Lei è come cantava l’amata Neruda nella sua poesia “Nuda sei semplice” (Sonetto 27 dei Cento Sonetti d’Amore). Anzi, più semplice ancora, perché il suo sorriso prescinde dallo sguardo di qualsiasi uomo, di qualsiasi altro essere umano. Si sente essere e proprio nel potersi perdere sperimenta una pienezza inimmaginabile, una libertà quasi oltraggiosa – per una donna del suo tempo come del nostro.

Valeria Meazza